Che cosa vuol dire cambiamento: lo accettiamo o lo evitiamo?
Ho cambiato tante cose da quando sono nata. Sono cambiata io, come persona, donna, amica, compagna, amante, sorella, figlia. Ho cambiato taglio e colore dei capelli. Ho cambiato vestiti, scuola, città, luoghi, amicizie, amori, interessi, lavoro. Ho messo in discussione me stessa. Ho fatto fatica ad accettarlo, il cambiamento. Ho provato e riprovato a cambiare quando ho sentito che qualcosa dentro me non stava funzionando più. Ma perché il cambiamento è così importante? Perché fa paura? Cosa vuol dire cambiare?
Come definire il cambiamento
Il cambiamento è un concetto intrinsecamente legato all’esperienza umana. Molti teoric*, filosof*, scrittor*, attivist*, politic*, psicolog* hanno considerato il cambiamento come aspetto fondante della vita di ogni persona. Potrei citarne un’infinità: da Mahatma Gandhi a Nelson Mandela, da Kennedy secondo cui cambiare è la regola della vita a Churchill che riteneva che il cambiamento servisse a migliorare, da Einstein a Tommaso Moro, da Goethe per cui chi vive deve essere preparato ai cambiamenti a George Bernand Shaw con il progresso è impossibile senza cambiamento. E ancora Confucio, Buddha, Martin Luther King, William James, Carl Gustav Jung.
Se consideriamo la sua origine, l’etimologia della parola cambiamento, essa deriva dal greco kàmbein,
kàmptein, che vuol dire curvare, piegare, girare intorno. La parola, infatti, fonda le sue radici sui concetti di movimento, azione, spostamento, mutamento. Per i giapponesi, si dice kaizen ed è l’unione di due parole: kai come cambiamento, miglioramento, e zen come buono, migliore. Cambiamento migliore, miglioramento continuo. Charles Darwin, padre della teoria evoluzionista, sosteneva che non è la specie più forte a sopravvivere, ma quella più reattiva al cambiamento. Con la pubblicazione del suo saggio L’origine della specie nel 1859, provò a spiegare i fattori e le motivazioni che spingono le specie ad adattarsi all’ambiente mutevole per sopravvivere e prosperare.
Il cambiamento è, quindi, insito nella nostra natura in quanto essere umani, nonostante la paura e la
difficoltà che proviamo nel cambiare. Non è soltanto la modifica di uno stato o la trasformazione delle
condizioni, degli atteggiamenti o delle abitudini di una persona o un sistema. Il cambiamento è evoluzione: un processo graduale o improvviso, consapevole o inevitabile, che può riguardare aspetti fisici, emotivi, fisiologici, mentali, culturali, sociali, comportamentali della nostra esistenza. Una fase del nostro percorso di crescita: nasciamo, cresciamo, impariamo, ci adattiamo e – di fatto – cambiamo.
Perché il cambiamento è importante e cosa spinge le persone a cambiare?
Il cambiamento è essenziale per la nostra evoluzione sociale e personale. Oprah Winfrey scriveva: “Esci
dalla storia che ti trattiene. Entra nella nuova storia che sei disposto o disposta a creare”. Sebbene si tratti di un fenomeno complesso, la propensione al cambiamento è insita nella nostra natura per diverse ragioni, che variano dall’evoluzione biologica al bisogno di realizzazione e crescita personale, dalla presa di coscienza di uno stato di malessere alla volontà di stare meglio. Quali sono i fattori che ci spingono verso il cambiamento?
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Adattamento all’ambiente: come esseri umani siamo adattivi. Ne abbiamo parlato all’inizio, citando
Charles Darwin. L’ambiente mutevole, le sfide e i cambiamenti economici, sociali, politici e tecnologici ci portano a modificare alcuni aspetti nostri e della nostra vita, a partire da abitudini, comportamenti, luoghi, relazioni. Cambiamo, quindi per adattarci all’ambiente; -
Bisogni e obiettivi personali, come crescita, ricerca di significato e realizzazione: secondo lo
psicologo Abraham Maslow, celebre per la piramide gerarchica dei bisogni e le teorie sulla motivazione, esistono cinque bisogni fondamentali e incondizionati che pongono le basi sulle quali costruiamo apprendimenti e condizionamenti. Alla base della piramide vi sono i bisogni fisiologici (fame, sete, sonno, riproduzione), seguiti da quelli di sicurezza (come stabilità, dipendenza, protezione), appartenenza (come affetto, amicizia, amore, socialità) e stima (come rispetto, approvazione, riconoscimento, successo). Al vertice, i bisogni afferenti all’autorealizzazione, ossia quelli attraverso cui si cerca di realizzare la propria identità, le aspettative, i desideri. Questi ultimi, in particolare il desiderio di raggiungere i nostri obiettivi o di migliorare la qualità della nostra vita, possono essere un potente motore di cambiamento, finalizzato al miglioramento personale; - Apprendimento, curiosità, esplorazione: la voglia e la curiosità di esplorare nuove idee, esperienze, possibilità e opportunità, ci porta a cercare strade nuove e modi di vivere la nostra vita diversamente, alimentando la nostra propensione al cambiamento;
- Eventi significativi: eventi come una crisi personale, una transizione importante, un insuccesso, un lutto, un malessere o un’esperienza di crescita possono indurci verso il cambiamento;
- Insoddisfazione o malessere: il disagio o la frustrazione che proviamo per lo status quo e il momento della vita che stiamo attraversando può aumentare la motivazione a cambiare ciò che non funziona o non ci fa più stare bene. L’obiettivo è raggiungere un livello di benessere personale, fisico, psicologico ed emotivo;
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Relazioni e società: sin da piccol* – durante le diverse fasi della vita e della crescita – le opinioni, le
aspettative, il sostegno e l’incoraggiamento da parte di amic, familiari, collegh o modelli di riferimento possono incidere sulle decisioni e scelte che prendiamo, quindi sul nostro processo di cambiamento.
Cosa ostacola il cambiamento: perché è difficile cambiare?
C’è una frase che, da anni, accompagna la mia quotidianità: non restare dove non fiorisci. È diventato una
sorta di mantra, un monito all’azione, il pugno nello stomaco quando resto immobile. La leggo quando inizio a dubitare o quando cambiare mi risulta difficile.
Perché cambiare è faticoso se cambiare è insito nella nostra natura? Se è vero che alcuni cambiamenti sono fisiologici, legati alla crescita e all’invecchiamento, e altri dipendono dal contesto in cui viviamo, dal momento che stiamo attraversando, dal nostro stato emotivo, da una sofferenza o stasi, dalle persone con cui ci relazioniamo o dalle scelte che compiamo per noi stessi e noi stesse, perché ci costa così tanto farlo?
Nonostante il desiderio di miglioramento e crescita personale, perché questi cambiamenti sono, il più delle volte, difficili da attuare?
Cambiare significa fare i conti con la nostra identità e personalità, con le aspettative e l’immagine che
abbiamo di noi stess* e che hanno le altre persone di noi, con le pressioni e influenze sociali, con le
credenze limitanti e i valori che ci caratterizzano. Fattori che possono diventare poi – di fatto – delle barriere al cambiamento. Cercare di controllare tutte queste variabili può aumentare la tendenza alla
procrastinazione e, quindi, impedirlo e ostacolarlo.
Cambiare comporta frustrazione, fatica, presa di coscienza e consapevolezza su ciò che sta accadendo. E questo può aumentare una certa resistenza al cambiamento. Il nostro cervello – pigro e risparmiatore di
energia – tende a seguire, soprattutto in contesti decisionali caratterizzati da incertezza, schemi mentali
consolidati e ad aderire alle abitudini esistenti per ridurre lo sforzo cognitivo. È cablato per ciò che conosce ed è sicuro, tendendo a preferire la familiarità alla novità. Mettere in atto un cambiamento richiede, quindi, tempo, energie, risorse e il superamento di una serie di fattori che possono manifestarsi nell’intero processo:
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Il senso di perdita e/o avversione alla perdita: Daniel Kahneman e Amos Tversky, studiando il
funzionamento dei processi decisionali, hanno introdotto il concetto di avversione alla perdita, secondo cui le persone tendono a percepire le perdite imminenti in modo più inteso rispetto alle possibilità di guadagni equivalenti futuri. Ciò aumenterebbe la resistenza verso quei cambiamenti che comportano la perdita di qualcosa di familiare, caro, sicuro, portandoci a preferire la stagnazione. Anche se potremmo provare insoddisfazione per la nostra situazione attuale, la paura delle perdite associate al cambiamento può farci bloccare nella nostra zona di comfort, rinunciando così alle opportunità di crescita e sviluppo personale; -
Paura dell’ignoto, dell’incertezza, del nuovo: l’ignoto, la novità e ciò che non conosciamo sono
caratterizzati da ambiguità e vulnerabilità. Non sappiamo cosa aspettarci e questa incertezza può
generare ansia e resistenza al cambiamento; -
Propensione al rischio: essa si manifesta quando siamo di fronte a una decisione in cui ci sono più
opzioni e ognuna di esse comporta una quantità di incertezza rispetto al risultato. Infatti, è strettamente legata al grado di tolleranza che possediamo rispetto all’incertezza. È ciò che accade nei cambiamenti, che implicano inevitabilmente l’esplorazione di contesti, situazioni, territori sconosciuti, e quindi una certa dose di rischio. Il livello di propensione al rischio non è uguale per tutti e tutte: chi ha una maggiore propensione al rischio tende a essere più confident con l’idea di affrontare situazioni incerte o ambigue; - Responsabilità della scelta: cosa stiamo cambiando? Un comportamento, un luogo, un valore? cosa stiamo lasciando? Che decisione stiamo prendendo? E se non è quella “giusta” per noi? Cambiare comporta l’assumersi la responsabilità delle proprie decisioni e azioni. Talvolta, questo può generare ansia, preoccupazioni o stasi. Prendere consapevolezza di ciò che siamo, ciò che ci sta a cuore, ciò che vorremo e, al tempo stesso, ciò che potrebbe farci stare bene è il primo passo per cambiare.
Cosa possiamo fare per allenare la nostra propensione al cambiamento?
3 consigli per costruire e allenare una personalità pronta al cambiamento
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Lavorare sulla propria autoefficacia
Cito uno psicologo, le cui teorie mi hanno accompagnato ai tempi degli studi universitari e che per diversi motivi ho ritrovato negli ultimi anni, Albert Bandura che parla di auto-efficacia o self-efficacy. Si tratta della fiducia che abbiamo nella nostra capacità e abilità di poter riuscire nell’impresa. Per poter affrontare e accettare i cambiamenti, serva allenarla. Accrescerla. -
Accettare il fallimento e allenare la resilienza
Questo è un consiglio che mi sta a cuore, che ricordo a me stessa quando inizio a dubitarne: imparare ad accettare e a gestire il fallimento e l’errore, anche attraversarlo se necessario. Un pò come la tristezza e il dolore. Quindi, allenare la resilienza: imparare a guardare ai cambiamenti come opportunità di crescita e lavorare sulla propria gestione dello stress e delle difficoltà in modo costruttivo. Provarci, anche se è faticoso e richiede tempo. -
Motivarci all’autodeterminazione
L’autodeterminazione si basa sulla nostra capacità di identificare obiettivi e valori personali e di agire in linea con essi. Ascoltarci, scavarci dentro è complesso. Cosa è veramente importante per noi? Cosa vogliamo raggiungere? Qual è la nostra direzione? Riflettere su ciò che ci sta a cuore, definire con chiarezza gli obiettivi ed essere consapevoli dei nostri valori può aiutarci ad affrontare ogni cambiamento.
Ricordiamoci sempre che siamo in grado di adattarci e ri-adattarci, di crescere, di evolvere costantemente.
Che va bene se la nostra strada non è lineare, che le deviazioni di percorso ci sono e servono anche quelle per essere ciò che siamo.
“Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato allo specchio ogni mattina e mi sono chiesto: se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare ciò che sto per fare oggi? E ogni volta che la risposta è stata “No” per troppi giorni di fila, ho capito che bisognava cambiare qualcosa” – ha raccontato Steve Jobs agli studenti e alle studentesse dell’Università di Stanford. E non posso che essere d’accordo con lui.
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